Sono passati già tre anni da quella notte del 29 ottobre 2018 quando un evento meteorologico estremo, chiamato Vaia, colpì il nord-est italiano: nelle regioni Friuli-Venezia-Giulia, Trentino-Alto-Adige e Veneto vennero registrati venti di scirocco per diverse ore tra i 100 e i 200 km/h, i quali provocarono lo schianto al suolo di milioni di alberi. Solo in Trentino si calcolano quasi 20 mila ettari di foreste distrutte da quelle raffiche, lasciando delle ferite che ancora oggi sono visibili ai nostri occhi.
Anche l’Alpe Cimbra, dove Norges Hus ha sua sede centrale in Italia, ha visto diversi propri boschi rasi al suolo in seguito al passaggio di Vaia.
Il grande senso di comunità che caratterizza questa regione ha fatto si che, grazie a tutto il sistema della Protezione Civile (un plauso particolare va fatto ai vigili del fuoco ed al corpo forestale) ed, ovviamente, grazie anche alla popolazione, dotata di grande senso civico, sono stati aperti circa 1300 cantieri attraverso i quali è stato recuperato e venduto più o meno l’80% del legname abbattuto. I lavori di ripristino non si sono mai fermati, nonostante da ormai quasi due anni l’intero Paese stia vivendo l’emergenza del Covid.
Certo, il paesaggio ha subito un cambiamento non indifferente, tanto è vero che ci vorrà almeno un secolo per rivedere i boschi ritornare alla situazione preesistente.
Purtroppo però, il passaggio di Vaia ha causato, oltre alle ormai note migliaia di ettari di foreste abbattute, anche l’espansione del bostrico. Questo coleottero, definito anche come il “Covid dell’abete rosso”, trovando nel legname schiantato a terra un luogo ottimale dove potersi moltiplicare, ha poi trovato spazio sugli alberi rimasti in piedi, attaccando fin da subito quelli più deboli. Esso si sviluppa sotto la corteccia, interrompendo la circolazione della linfa e porta in poche settimane le piante a morire.
Un intervento tempestivo con l’esbosco delle zone attaccate dal bostrico però, potrà permettere a tutto il personale del Corpo Forestale insieme alle imprese e ai proprietari forestali di contenere e circoscrivere la situazione.
Sono passati già tre anni da quella notte del 29 ottobre 2018, ma abbiamo delle certezze: la natura ed il tempo provvederanno a ricucire le ferite, e se l’uomo contribuirà per accelerare questo processo, le nuove foreste saranno più adatte agli eventi estremi e renderanno più resilienti quelle che ancora non sono state colpite.